Un anno fa, la Siria ha vissuto un cambiamento radicale con la caduta del regime di Bashar al-Assad, durato oltre 50 anni. La presa del potere è avvenuta in tempi rapidi, grazie all’Organizzazione per la Liberazione del Levante, guidata da Abu Muhammad al Jolani, ex leader del Fronte al-Nusra, che ha approfittato della debolezza dell’esercito siriano, provato dalla guerra civile. Con il supporto della Turchia, le forze di al Jolani hanno conquistato città strategiche come Aleppo, Homs e Hama, arrivando fino a Damasco, senza un significativo scontro armato.
Al Jolani ha istituito un governo provvisorio, autoproclamandosi presidente ad interim e cambiando il suo nome di battaglia in Ahmad al Sharaa. Ha adottato un’immagine più formale, indossando giacca e cravatta, e ha avviato un processo di legittimazione internazionale, diventando il primo leader siriano a essere ricevuto alla Casa Bianca dal 1946. Ha ottenuto la sospensione delle sanzioni statunitensi e ha parlato all’Assemblea Generale dell’ONU dopo quasi 60 anni, promettendo una nuova Siria pacificata e a tutela delle minoranze.
Tuttavia, la realtà si è rivelata ben diversa. Massacri di civili alawiti e drusi hanno scosso il paese, mentre Israele ha intensificato le sue operazioni nel Golan, avvicinandosi a Damasco. La Turchia ha mantenuto una presenza militare nel nord contro i curdi. Nonostante la retorica di stabilità, la crisi umanitaria è rimasta drammatica, con il 90% della popolazione in condizioni di fame. A gennaio è previsto il nuovo Parlamento, ma le vere elezioni potrebbero tardare quattro anni, mentre al Sharaa continua a mantenere il controllo. La situazione in Siria richiede un’attenta analisi oltre le promesse di rinnovamento.

