Le torri di raffreddamento della centrale nucleare di Gundremmingen, in Baviera, sono state demolite sabato scorso davanti a circa 30.000 spettatori. Con questa operazione si conclude un’era di oltre quarant’anni, poiché le torri erano visibili dal 1980 e avevano assunto un ruolo iconico nel paesaggio locale. L’impianto, inattivo dal 2017, rappresenta uno dei simboli della transizione della Germania verso l’abbandono dell’energia nucleare, iniziata nel 2011 dopo il disastro di Fukushima. Per la demolizione sono stati impiegati 600 chilogrammi di esplosivo distribuiti in più di 1.800 fori; il materiale risultante sarà riciclato come inerte per l’edilizia. RWE, la società energetica responsabile della gestione dell’impianto, ha confermato che le torri non hanno mai avuto contatti con la radioattività durante la loro operatività.
L’evento ha suscitato emozioni tra i residenti, come testimoniato da Elisabeth Kostolnik, che ha descritto la demolizione come un momento storico. Tuttavia, ha anche riacceso il dibattito sull’energia nucleare in Germania. Con la chiusura degli ultimi tre reattori nel 2023, il paese ha completato un processo di oltre un decennio, ma l’aumento dei prezzi dell’energia e le difficoltà di approvvigionamento, aggravate dall’invasione russa dell’Ucraina, hanno portato alcuni politici a riconsiderare la rinuncia al nucleare. In Baviera, il ministro-presidente Markus Söder e altri esponenti conservatori hanno espresso posizioni favorevoli a un possibile ritorno all’energia nucleare, ma gli esperti del settore avvertono che la costruzione di nuove centrali richiederebbe tempi troppo lunghi per affrontare l’attuale crisi energetica.
La dipendenza della Germania dalle forniture di gas russo ha influenzato profondamente la sua politica energetica negli ultimi anni. Per oltre due decenni, Berlino ha puntato su progetti come Nord Stream 1 e 2, garantendo gas a basso costo all’industria, ma creando al contempo una forte dipendenza da Mosca. Dopo il 2022, questa strategia ha mostrato i suoi limiti.

